Archivio mensile:marzo 2012

1.

L’inizio è la parte più complicata, è come entrare in una stanza e sentirsi a proprio agio, bisogna far sentire aria familiare, bisogna rassicurare l’invitato che non c’è nessun pericolo. Sto fumando una sigaretta mentre cammino al lato di una superstrada diretta chissà dove. Le macchine mi sfrecciano accanto, sembrano non accorgersi di me, il vento le insegue e mi scompiglia i capelli. Sorrido. E’ il primo giorno di vita negli ultimi trentacinque anni. Sono vivo, sono libero. Iniziare col piede giusto richiede il chiudere i conti col passato, lo faccio ora, lo faccio con te che leggi. Ti racconto quello che è successo, ti lascio la chiave per chiudere questo cassetto. A me non serve più.

Ho l’ovulazione – mentiva. Guardai Emma negli occhi sorridendo mentre bevevo il mio caffè. Le feci un occhiolino e rimasi in silenzio. Avevo trovato una confezione a metà di pillole anticoncezionali nella sua borsa pochi mesi prima. Volevo un figlio. Lei non aveva il coraggio di dirmi che lei invece non lo voleva, probabilmente affrontare quel discorso avrebbe lentamente ucciso il nostro matrimonio. Speravo che un giorno, senza motivo, avrebbe cambiato idea. Facevo finta di crederle perchè l’amavo davvero tanto. Finii il mio caffè, le diedi un bacio in fronte – Ci vediamo stasera – sorrise. – Ti amo – disse mentre prendevo da terra la ventiquattrore, era amaro come un bacio di Giuda, saturo di sensi di colpa. Sorrisi. L’avevo perdonata ancora prima di accorgermene. Andai in ufficio, lavoravo in un’azienda assicurativa. Arrivavano ogni giorno decine di moduli con le storie di sconosciuti, i loro passati clinici e le loro abitudini di vita. Dovevo fare un calcolo statistico su quanto fosse conveniente assicurare o meno la vita di quelle persone. La casalinga sì, il paracadutista no, il cardiopatico nemmeno, il fumatore incallito forse, il padre di famiglia sì. Era una scelta basata su modelli matematici, non c’era spazio per diventare parte di quelle storie, non potevo lasciarmi coinvolgere dalla storia di un uomo malato che voleva lasciare qualcosa alla famiglia. Erano affari. Capitavano volte in cui avevo la sensazione di essere come uno di quei nazisti che decidevano della vita e della morte delle persone, scacciavo subito quel brivido che mi percorreva la schiena. Non ero così, era un lavoro come un altro, facevo solo quello che mi chiedevano di fare, la matematica e la statistica gestivano i sensi di colpa al posto mio. Ero una brava persona, come lo erano tutti i miei colleghi. La mia vita era una scrivania, un computer, una chiacchiera con la segretaria del capo, una sigaretta durante la pausa pranzo, un panino preso al volo sotto l’ufficio. Non lo trovavo noioso, avevo Emma ad aspettarmi a casa, avevo amici, soldi e famiglia. Amavo la mia vita.

Tornai a casa, facemmo l’amore prima di cena, fu tenero, calmo, lento. Mentre lei era in cucina a preparare da mangiare io mi feci una doccia. A tavola mi raccontò che la madre di un suo alunno era andata da lei dopo la fine delle lezioni a lamentarsi perchè lei il giorno prima aveva sgridato il figlio. Cominciò ad inveire contro i “genitori di oggi” – Quando noi andavamo a scuola – disse mentre masticava un pezzo di carne – Il professore aveva sempre ragione, i miei non mi hanno mai difesa, neanche quando subivo qualche ingiustizia. Non dico che si debba fare così, però quel ragazzino è un maleducato, è parte del mio compito quella di insegnargli l’educazione, visto e considerato che i genitori a quanto pare hanno saltato questo capitolo quando gli hanno insegnato a relazionarsi con un adulto. – La ascoltavo, le davo ragione. Osservavo dietro di lei il salone, vuoto ed immobile. Vidi per un attimo un bambino seduto sul tappeto giocare con una macchinina, sorrisi. In quella casa faceva freddo. Quanto avrei voluto un figlio. Tornai con lo sguardo su di lei, sapevo quanto le desse fastidio che fossi distratto mentre mi parlava, a volta mi trattava come uno dei suoi alunni. Continuò il suo sermone su quanto i ragazzi di oggi sono privi di ogni interesse. – Emma, gli adolescenti sono così da che mondo è mondo. Io a quindici anni pensavo solo a fumare canne ed a fare sesso – Mi fulminò. – Finchè non ho incontrato te – dissi prendendola in giro, pur sapendo che si sarebbe arrabbiata. Risi mentre lei finì il suo piatto contrariata dal fatto che non le avessi dato ragione. Presi un bicchiere di vino dalla credenza, lo riempii quasi fino all’orlo e me ne andai in salotto mentre lei metteva a posto, le diedi un bacio. Stavolta Giuda ero io.

Guardammo un film insignificante, io finii il mio vino e fumai una sigaretta, stavo cercando di smettere. Fumavo un pacchetto al giorno finchè non dovetti barattarne quindici per poter portare a casa un cane. Ora me ne restavano cinque al giorno, Emma era soddisfatta e si era anche affezionata al cane. Brutta storia i compromessi, ma almeno Dot mi faceva compagnia, riempiva un po’ quella casa enorme. Alle undici squillò il telefono – Bello, sono fuori casa tua con sei birre – Marc, l’amico di una vita. – Mi devo svegliare presto domani – Non rompere il cazzo, ho bisogno di bere. – Attaccai. – Cerco di fare in fretta, se hai sonno vai a letto – le dissi. Non c’era bisogno di spiegarle la situazione, succedeva spesso. Uscii di casa ed entrai nella macchina di Marc. Mi passò una birra e cominciò con la solita storia – Quella stronza mi vuole togliere tutto – disse. Gli avevo detto di non sposare quella donna, ma evitai di sottolinearlo. Lo ascoltai, bevvi un paio di birre e come al solito si fece tardissimo.

Quando mi infilai a letto Emma dormiva, mi avvicinai e le diedi un bacio sulla guancia. Rimasi a guardarla per qualche minuto e poi, la notte prese anche me.

Tabula Rasa.

Le persone possono distruggerti. Dovrebbero scriverlo sulle magliette, come sui pacchetti di sigarette. Almeno una volta a pezzi, una volta che ti hanno devestato, puoi avere la consolazione del “Vabbè, m’avevano avvertito”. La vita a volte ti investe come un treno, fa retromarcia, ti investe di nuovo e di nuovo e di nuovo, finchè davvero di te non rimane nulla. Una volta passata la tempesta, guardi i pezzi di te sparsi ovunque, alcuni volati via col vento, altri inutilizzabili, altri scheggiati e rotti e non puoi fare altro che chiudere tutto in uno scatolone, sigillarlo con il nastro adesivo, scriverci su “RIFIUTI PERICOLOSI” ed andare avanti.

Nuova vita. Nuovo Blog. Non sarò qui ad annoiarvi con storie personali poco interessanti e soprattutto che non vi toccherebbero minimamente. Sono qui per fare quello che facevo sul vecchio Blog, sono qui per raccontare storie, di quelle che ti vengono in mente all’improvviso e scalpitano per venire fuori. Sono qui per farmi aiutare da voi a renderle leggibili e per avere la vostra approvazione.

Ho strappato tutte le foto, ho buttato via i ricordi, ho chiuso il cassetto della mente che affaccia sul mio passato. Ho bisogno di vita, ho bisogno di qualcosa di bello… “Ho bisogno di credere che qualcosa di straordinario sia possibile”, A Beautiful Mind docet.

Dunque, benvenuti stranieri, bentornati vecchi aiutanti.

Ricominciamo tutto. Ricominciamo insieme.

Dopotutto, mi ricordo quando ero felice, quando mi piaceva il mondo in cui vivevo.. Anzi.. Sembra Ieri.